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IVAN BLECIC
Engagement e gaming: i videogiochi piazze virtuali per l’apprendimento, l’acquisizione di soft skill e la valorizzazione della cultura
Ma questo è solo un aspetto. Al di là del contesto patologico, quello discusso nell’ambito del dibattito sviluppato attorno alle dipendenze comportamentali, è evidente quanto sia articolato il discorso sul gaming. E quanti siano i risvolti positivi, per certi versi – come vedremo – addirittura terapeutici. E poi educativi e didattici, così come narrativi e creativi. I videogiochi insomma sono al crocevia fra strade diverse e sollecitano, soprattutto nei più giovani, lo sviluppo di molteplici competenze.
I giochi in altre parole sono una cosa serissima. Ne abbiamo parlato con Ivan Blečic, docente dell’Università degli Studi di Cagliari. Con lui abbiamo discusso delle potenzialità di questi racconti virtuali, immersivi e partecipati, in cui i gamer sono protagonisti a tutto tondo di quelle storie, perché agiscono nell’ambito dei cosiddetti eSport, cioè sport elettronici come i videogiochi.
La terapia del gaming
In un periodo di sospensione di tutte le libertà, inclusa quella di incontrarsi, il videogioco ha fatto da collante nei rapporti. Si è sostituito ai luoghi di aggregazione fisici. E nel virtuale ha incarnato il ruolo di una vera e propria piazza per i multiplayer dei videogiochi, in maniera semplice e immediata. Due gli strumenti indispensabili: una connessione internet e un dispositivo per giocare, dallo smartphone, al pc, fino ad arrivare alle console per i più esperti.
Secondo l’OMS i videogiochi hanno avuto un efficace potere terapeutico per gli utenti. Hanno consentito di impegnarsi in attività “social” e quindi giocare insieme, condividere l’esperienza online e allo stesso tempo mantenere il distanziamento sociale. Un dato estremamente positivo, perché in particolare durante l’emergenza pandemica sono state riscoperte le potenzialità più profonde dei videogiochi: mezzi di comunicazione pensati per unire e non per isolare.
Videogiochi e quarantena: #PlayApartTogerther
E quindi, non a caso, il 2020 è stato un anno da record per i videogiochi. Su richiesta della stessa OMS, l’industria globale del gaming ha lanciato una campagna di sensibilizzazione. Con l’hashtag #PlayApartTogerther veniva veicolato il messaggio che i videogiochi fossero una terapia “immateriale” sociale e relazionale contro il Coronavirus.
Alcuni fra i più grandi leader del settore, tra cui le società videoludiche di Amazon Appstore, Twitch, YouTube Gaming, ma anche Blizzard e Riot Games, le compagnie di giochi noti e di successo come World of Warcraft/Overwatch e League of Legends, hanno sposato l’iniziativa, attraverso l’offerta di eventi speciali, contenuti esclusivi, attività e premi.
Anche se chiusi in casa, gli utenti hanno colto i valori di cui i videogiochi sono portatori: dall’intrattenimento alla sfida, fino alla socializzazione. E così il gaming veniva associato a sensazioni positive e momenti di convivialità.
Videogiochi e competenze tacite
Il videogioco oggi è parte integrante del tempo libero delle persone di qualsiasi età e genere, perfino in Italia. È indubbiamente un mezzo di intrattenimento molto popolare. Ma inoltre può migliorare l’esperienza in famiglia, a scuola, nel lavoro e in molti altri contesti. I videogiochi, ad esempio, possono invogliare gli studenti ad imparare meglio. Poi generano opportunità di lavoro per le professioni del futuro. Ma inoltre aiutano a risolvere grandi sfide a livello scientifico, sociale e culturale attraverso l’applicazione della tecnologia.
Le persone insomma potrebbero essere ispirate da un videogioco. Perché i videogiochi creano sfide e divertimento per i multiplayer, ma nello stesso tempo creano connessioni tra le persone. Favoriscono l’apprendimento e l’empatia. In definitiva apportano innovazione in qualsiasi ambito, dall’educazione alla salute, dalla scienza alla valorizzazione del patrimonio culturale.
In particolare, i giochi di avventura, di simulazione o strategia, sono molto complessi. Un bambino o un adolescente sviluppano, giocando, la capacità di comprendere le situazioni, risolvere i problemi e prendere decisioni. Competenze che potrebbero tornare utili anche in contesti formali, per esempio a scuola.
Inoltre, alcuni videogiochi possono allenare anche la capacità di previsione a breve e a lungo termine, qualità molto ricercata nel mondo del lavoro. In certi casi l’utente gioca d’anticipo, per poter prevedere il comportamento di ogni personaggio. E quindi per venirne a capo e risolvere il problema, deve mettere in atto processi di ragionamento induttivo – dal particolare al generale – per prendere decisioni decisive ai fini del gioco, sulla base di dati parziali.
Engagement
La parola chiave è stata engagement. La qualità dell’esperienza interattiva ha fatto la differenza. Nel 2020 gli italiani hanno dedicato in media otto ore ogni settimana al gaming. E i dati dimostrano appunto che le attività videoludiche sono percepite come tempo speso bene, in compagnia. Gli egamer – i giocatori di questi sport virtuali online, i cosiddetti eSport, letteralmente sport elettronici– hanno scoperto nel videogioco anche un’occasione di condivisione e dunque di socialità e inclusività.
E infatti il 50% degli utenti ha giocato per rimanere in contatto con gli amici, il 48% per sentirsi meno isolato, il 39% come strumento per ridurre l’ansia. In aggiunta, un dato molto rilevante, il 19% dei genitori ha giocato ai videogame con i propri figli.
Prospettive e risvolti futuri
I dati, le statistiche ci restituiscono segnali positivi di crescita per le imprese e l’occupazione nel settore. Dimostrano in altre parole la grande flessibilità e capacità di adattamento che ha avuto l’industria locale rispetto alla pandemia. Per sostenere la crescita del settore è importante che vengano disegnate e messe in atto delle politiche di sostegno a tutto tondo come il supporto allo sviluppo di nuove proprietà intellettuali, e la valorizzazione del know-how delle imprese italiane.
Nel mondo dei videogiochi è in atto ormai da anni un cambiamento epocale. Oggi ogni dispositivo è dotato di una connessione. E questo implica che il gaming sia diventato un momento sociale, di incontro con i propri amici o dove farne di nuovi, all’interno di una community in cui le relazioni interpersonali sono legate al gameplay. I videogiochi sviluppano e consolidano le competenze. L’esperienza si richiama a qualcosa che potrebbe definirsi come first-person interactive cinema, il cinema interattivo in prima persona. Un utile strumento oltre che per l’intrattenimento degli egamer anche per la didattica, il mondo del lavoro o ancora la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico.
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Maria Chiara Di Guardo – Prorettore all’innovazione e al territorio, Micaela Morelli - Prorettore alla ricerca e Roberta Vanni – Direttore del CESAR raccontano le dinamiche che hanno condotto alla realizzazione di un progetto crossmediale sulla terza missione dell’Università degli Studi di Cagliari.
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