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MIRIAM MELIS
La mappa neurobiologica delle dipendenze: dal piacere fisiologico al piacere patologico
Il tema delle dipendenze è ampio, complicato e per molti versi spinoso. Le implicazioni sono molteplici. Scientifiche, mediche, terapeutiche, ma anche sociali e politiche. Si tratta di ambiti diversi eppure interconnessi. Perché chiamati, nessuno escluso, a risolvere uno dei rebus più difficili della nostra contemporaneità.
La prospettiva scientifica dunque è una delle tante. Iniziamo da questa per comprendere una tematica che merita di essere considerata nella sua specificità. Senza preconcetti e pregiudizi. Ne abbiamo parlato con Miriam Melis, docente dell’Università di Cagliari, con un focus particolare sulle basi neurobiologiche di queste patologie.
Una premessa necessaria
Chi fa uso di sostanze fino a divenirne dipendente mette a rischio sé stesso e gli altri. In termini medici, la dipendenza è una patologia in grado di alterare il funzionamento di alcune aree del cervello. Per questo l’individuo perde il controllo delle proprie azioni. Ad essere preoccupanti sono le conseguenze. Nell’ultima relazione annuale sul fenomeno, il Dipartimento per le politiche antidroga (DPA) traccia il quadro attuale. Aumenta quindi il numero degli incidenti automobilistici a causa dell’assunzione di droghe. Ma inoltre il DPA fotografa il numero in crescita del giovane pubblico di dipendenti. Sono ragazzi delle scuole superiori, che sulla scia del fenomeno del binge drinking, abbuffate di alcol, si avvicinano all’utilizzo di altre sostanze d’abuso. È in casi come questi che la dipendenza assume le vesti di un problema sociale, oltre che medico-scientifico.
I tempi attuali
L’argomento delle dipendenze pone davanti alla necessità di nuove risposte. Soprattutto adesso, dopo un anno dall’inizio di una pandemia che ha ulteriormente ribadito la rilevanza di certe problematiche: l’isolamento, l’incertezza, la paura, stati fisici e mentali che acuiscono il rischio legato all’insorgenza di dipendenze comportamentali e da sostanze. In un momento storico, senza precedenti, che priva soprattutto gli adolescenti delle libertà primarie evolutivamente essenziali alla loro crescita – la scuola, gli amici, lo sport – i vuoti lasciati dal Covid (e da un contesto antecedente che la pandemia ha avuto il solo demerito di amplificare) quei vuoti, appunto, sono stati colmati da cibo, videogiochi, internet, social e sostanze d’abuso, divenuti comportamenti a rischio per le nuove generazioni.
I perché del problema
Il proposito è quello di raccontare le cose così come stanno, in base allo stato attuale dell’avanzamento scientifico in materia, alle possibilità e alternative messe in risalto dagli strumenti della ricerca, per offrire opportunità, spunti di riflessione, favorire scelte libere e consapevoli.
E allora partiamo da qui, dai perché neurobiologici del problema. Quindi in che modo sostanze d’abuso e comportamenti patologici sono in grado di alterare i meccanismi di funzionamento del cervello. Quali situazioni potrebbero favorire l’insorgenza della patologia. Quali sono i rischi. Perché i giovani – gli adolescenti in particolare – sono maggiormente vulnerabili rispetto allo sviluppo di una o più dipendenze.
L’intricato racconto delle dipendenze
Le dipendenze possono essere legate all’abuso di farmaci, droghe, alcol e tabacco. Ma sono inoltre comportamentali e correlate a disturbi alimentari. Quindi al sesso patologico, allo shopping compulsivo, al gioco d’azzardo e alla dipendenza psicologica causata dall’uso di Internet e dei social network.
L’individuo perde il controllo di sé. Non può fare a meno della sostanza (o del comportamento) e del piacere che ne ricava. Per questo vive impiegando ogni energia fisica ed emotiva nel tentativo di procurarsi l’oggetto del desiderio. Per soddisfare un bisogno impellente, alla stregua del cibo, delle relazioni e della riproduzione.
Se nel caso delle dipendenze comportamentali, il forte desiderio si traduce in termini psicologici, le sostanze d’abuso invece, in aggiunta, causano nel soggetto una vera e propria dipendenza fisica. L’organismo non può più fare a meno della sostanza. Dopo una prolungata assunzione, è assuefatto. E per rispondere a questo bisogno l’individuo dispiega ogni sforzo, a scapito degli affetti, del lavoro e di ogni altro aspetto della quotidianità.
Sofferenza e dolore nella vita dell’uomo
Il dipendente privilegia la ricerca spasmodica del continuo piacere. Non contempla sforzo, fatica e stati emotivi negativi. E anzi se ne allontana il più possibile non riuscendo a tollerare ansia e stress, sebbene queste siano componenti essenziali per la sopravvivenza.
Nel corso del tempo l’uomo ha scoperto in natura sostanze in grado di produrre piacere e indurre il desiderio di ripetere l’esperienza giudicata come positiva. Alcol, nicotina e cocaina – solo per citarne alcune – sono le droghe con cui ha potuto attenuare gli effetti avversi della fatica, del sonno, della fame.
Poi con l’avvento della tecnica e del progresso in ambito scientifico, ne ha individuato i principi attivi. Li ha mimati in laboratorio e ha sintetizzato sostanze ben più potenti di quelle naturali. Fra queste anche le cosiddette nuove sostanze psicoattive (NSP), difficilissime da riconoscere dal punto di vista analitico ed estremamente dannose per la salute dell’individuo, secondo le stime del Sistema Nazionale di Allerta Precoce per le droghe del DPA, che ha monitorato la loro comparsa sul territorio italiano.
Le droghe mimano i bisogni primari naturali
Cibarsi, riprodursi, stare con gli altri sono attività associate alla sopravvivenza degli individui e quindi alla prosecuzione della specie. Il cervello percepisce queste attività come piacevoli, perché utili, in quanto bisogni naturali primari.
Le droghe sfruttano questo stesso sistema del piacere. Sollecitano i medesimi circuiti cerebrali, quelli delle cellule dopaminergiche, e li alterano. È a questo punto che per l’organismo le sostanze d’abuso appaiono non solo utili ma essenziali per il benessere della specie. Quanto cibarsi, copulare e interagire con gli altri. E anzi, spesso, molto di più.
Le droghe sono quindi desiderate per il piacere che producono. Agiscono come rinforzo positivo, perché sollecitano i circuiti del piacere. Producono gioia immediata. E a differenza degli stimoli naturali non richiedono di impegnarsi in compiti fisici e mentali onerosi. Inoltre, edulcorano i problemi della quotidianità. E sopperiscono a vuoti e mancanze sociali, complicati rapporti familiari o amicali, situazioni di isolamento e solitudine. Così come eventi traumatici.
Le basi neurobiologiche del piacere e della gratificazione (reward)
Il piacere di cui si parla deriva dall’attivazione di un sistema cerebrale ancestrale molto antico. È il sistema a ricompensa: in poche parole, un’esperienza viene classificata come gratificante e per questo il cervello ne incoraggia la ripetizione in futuro.
Il meccanismo neurobiologico, nel suo complesso, prende il nome di sistema mesolimbico dopaminergico a ricompensa. I neuroni comunicano fra di loro grazie alla dopamina, un neurotrasmettitore, uno dei tanti coinvolti a vario titolo nei circuiti della gratificazione. È la dopamina il motore dei nostri desideri. Ma allo stesso tempo, se attivata in certe aree della corteccia cerebrale, è responsabile della volontà e delle scelte giudiziose.
La via meso-limbico-corticale è una via dopaminergica. Attraversa tre aree del cervello, mettendole in comunicazione. Sono il mesencefalo, il sistema limbico e la corteccia.
E così a partire dal mesencefalo, la dopamina attraversa il sistema mesolimbico. È questo il luogo della “pancia”, dei sentimenti e delle emozioni. E poi raggiunge la neocorteccia, il luogo della “volontà”. Il compito principale di questo sistema è favorire la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Quei comportamenti che si rivelano utili vengono premiati con sensazioni piacevoli, per favorirne ancora una volta la ripetizione.
Ma nelle addiction, le sostanze d’abuso e le dipendenze comportamentali danneggiano questa via dopaminergica. E interrompono le comunicazioni fra le varie parti del cervello. L’area in cui ha sede la volontà e le parti sottostanti legate alle emozioni non sono più in dialogo. Così la neocorteccia non è più in grado di vigilare sulle emozioni, libere da ogni controllo cognitivo esercitato dalla “volontà”.
Dal piacere fisiologico al piacere patologico
Questo circuito a ricompensa dunque è attivato anche dalle sostanze o dai comportamenti compulsivi patologici. A questi si deve una sensazione piacevole non correlata ad esperienze positive per la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Come i bisogni fondamentali (cibarsi, copulare, etc.), le dipendenze stimolano un innalzamento di dopamina e rendono quegli atteggiamenti tanto piacevoli da conservarne il ricordo per un eventuale recupero di quelle memorie nel caso della reiterazione del medesimo comportamento.
In condizioni patologiche, nel tempo, gli stimoli primari diventeranno sempre meno soddisfacenti. Fino a perdere del tutto la carica gratificante. In questo nuovo equilibrio distante da quello fisiologico, l’individuo si vedrà totalmente assorbito dalla ricerca spasmodica della sostanza o dal tentativo di replicare il comportamento patologico. Nonostante gli effetti collaterali ai danni della salute, in un caso, e delle relazioni sociali, nell’altro.
Anche se consapevole del danno provocato a sé stesso e agli altri, l’individuo non potrà interrompere questo circolo vizioso. Infatti quando un piacere non più fisiologico muove verso una condizione patologica, il cervello è soggetto a modificazioni importanti alla base di una possibile dipendenza da sostanza: fra questi la perdita del controllo di sé e delle proprie azioni.
Ultime riflessioni
Nei prossimi contributi, lungo il dibattito intorno al tema delle dipendenze, si porrà l’accento sull’importanza dei fattori di prevenzione e protezione dall’insorgenza delle dipendenze. Soprattutto in riferimento alle categorie evolutivamente più vulnerabili, come gli adolescenti.
Studiare i meccanismi biologici dell’essere umano significa orientarsi fra le conoscenze che la ricerca offre intorno agli stati di salute e malattia, per prevenire comportamenti a rischio e mettere in atto invece i più virtuosi. Valutare danni e benefici per la salute, anche da un punto di vista biologico, può voler dire, senza preconcetti e pregiudizi, provare a stabilire un’ideale di benessere favorevole all’individuo e alle persone con cui si relaziona.
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Maria Chiara Di Guardo – Prorettore all’innovazione e al territorio, Micaela Morelli - Prorettore alla ricerca e Roberta Vanni – Direttore del CESAR raccontano le dinamiche che hanno condotto alla realizzazione di un progetto crossmediale sulla terza missione dell’Università degli Studi di Cagliari.
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