Blog > Ricercatori
LOREDANA LUCARELLI
Quando il cibo diventa un’ossessione incontenibile: i disturbi del comportamento alimentare
Ma se invece le abbuffate non fossero episodiche, cosa potrebbe accadere? Se lo stile di vita disordinato divenisse una costante, dovremmo fare i conti con gravi conseguenze fisiche e psicologiche.
Il dialogo con i ricercatori prosegue. Abbiamo affrontato il tema delle dipendenze a tutto tondo, il desiderio irrefrenabile di qualcosa che costituisce l’oggetto del desiderio per qualcuno. Quando l’ossessione riguarda il cibo, la sua assunzione, entriamo nell’ambito dei cosiddetti disturbi del comportamento alimentare. In Italia 3 milioni di persone soffrono di un disturbo alimentare. Una dimensione decisamente preoccupante in rapporto ai 60 milioni di persone della popolazione nazionale.
Ne abbiamo parlato con la prof.ssa Loredana Lucarelli, docente dell’Università degli Studi di Cagliari.
Evoluzione e cibo
Per la prosecuzione della specie e per la nostra sopravvivenza il cibo è un bene primario. E per questo evolutivamente l’uomo ha dovuto affinare tecniche e strategie per procacciarsi i giusti quantitativi e provvedere così al sostentamento personale, della famiglia e della comunità.
Ma cibarsi nel corso della storia ha assunto significati aggiuntivi. E non solo in relazione al soddisfacimento dei bisogni fisici primari. Soprattutto nella cultura attuale mangiare è diventato anche un atto sociale, plasmato dagli usi e costumi dei nostri giorni.
Natura e cultura
Così, all’interno delle nostre comunità, si alternano i bisogni biologici e quelli sociali dell’uomo. La loro relazione apre a più considerazioni. Per esempio, in che modo mangiamo oggi. Quanto incide il junk food, il cibo spazzatura, nella nostra alimentazione. E che impatto hanno gli ideali di bellezza irraggiungibili dei social network, con cui gli adolescenti in particolar modo devono confrontarsi.
E se da una parte il rapporto è fra natura e cultura, dall’altra si specifica ulteriormente nella relazione cibo e individuo, quindi la reazione personale alle pressioni della società, alle aspettative di bellezza e successo, all’etica della produttività e così via. Si parla dunque delle emozioni, degli stati d’animo a cui si accompagna l’assunzione del cibo: il cibo diventa un’ossessione, o per sottrazione o per eccesso. Non si tratta solo di stimoli primari. Senso di fame o al contrario senso di sazietà potrebbero confondersi con stati d’animo particolari che costringono – al di là dei reali bisogni – o all’assunzione incontrollata del cibo o alla privazione totale.
È una linea sottile quella che si colloca fra bisogno fisiologico e la spinta disfunzionale, da non sottovalutare, come prima manifestazione dei sintomi di queste patologie.
Conoscere la malattia
È un passo propedeutico per un intervento tempestivo, nel caso si individuassero certi sintomi in chi ci sta accanto.
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono patologie croniche e recidivanti che incidono negativamente sulla qualità della vita di chi ne soffre. Disturbi che portano a sviluppare un’ossessione nei confronti del cibo, del corpo e della percezione di sé rispetto agli altri. Gravano quindi sulla condotta alimentare e possono creare una tale assuefazione mentale tale da sottrarre energie e attenzioni rivolte ad altre attività in situazioni di salute e benessere fisico.
Il DSM-5 – il Manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali, alla sua quinta edizione – li classifica in tre disturbi: l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il binge eating. Quali sono i segni distintivi di ciascuna patologia? Quali i sintomi e le caratteristiche specifiche? Vediamoli insieme.
Anoressia nervosa
Chi ne soffre smette di mangiare. Riduce drasticamente l’introito di cibo rispetto al fabbisogno giornaliero. E infine il risultato che si ottiene è una diminuzione di peso anomalo in rapporto all’età, al sesso e alla salute fisica.
Una persona anoressica è ossessionata dal timore di ingrassare. Smette di alimentarsi, arriva ad una condizione di malnutrizione, eppure, nonostante le preoccupazioni di familiari e amici, nega la rilevanza del problema, non riuscendo a riconoscere la gravità del sottopeso. Un pensiero invasivo che accompagna tutto il giorno.
L’organismo sottopeso entra in modalità “energetica”. Ogni funzione fisiologica inizia ad assopirsi, per rallentare la corsa verso l’autodistruzione. E così l’organismo si riorganizza per sopravvivere: abbassa la produzione di calore, diminuisce la frequenza cardiaca, rallenta il funzionamento di ogni singola parte del corpo.
A risentirne sono tutti gli organi vitali, cervello incluso che risente della carenza di energia. Dall’esterno quello che si nota è un umore instabile totalmente assorbito dal pensiero costante e ossessivo per tutto ciò che riguarda l’alimentazione, con un totale disinteresse, d’altra parte, nei confronti di qualsiasi altra attività, seppur piacevole.
Bulimia nervosa
Abbuffate compulsive e incontrollate. Chi è bulimico consuma enormi quantità di cibo in tempi relativamente brevi. E soprattutto non è in grado di esercitare alcun tipo di controllo durante l’abbuffata. I sensi di colpa conseguenti, solo in seguito costringono a comportamenti di compensazione, per evitare l’aumento di peso. E quindi vomito autoindotto, abuso di lassativi, digiuno o ancora un esercizio fisico continuo e sfiancante per bruciare le calorie assunte in eccesso. E per questo chi è bulimico è quasi sempre normopeso. E anzi mostra particolare attenzione, almeno in compagnia, nei confronti di diete sane ed equilibrate.
Ancora una volta la molla del disturbo, come nel caso dell’anoressia nervosa, è una visione alterata di sé. Ci si vede enormi quando in realtà non lo si è.
Binge eating
Ricorda la bulimia nervosa per l’assunzione incontrollata di enormi quantità di cibo. In tempi brevissimi, con forti sensi di colpa successivi all’abbuffata. Ma l’assunzione non è seguita da comportamenti compensatori. Per questo motivo chi soffre di binge eating affronta le complicanze legate a stati di grave obesità e patologie correlate, come diabete, malattie cardiovascolari e addirittura alcuni tipi di tumore.
Disturbi multifattoriali
Le cause sono sempre molteplici. Nessuna, considerata singolarmente, è in grado di determinare lo sviluppo della patologia. È dunque l’unione di più elementi ad esporre il soggetto al rischio.
La genetica
Studi scientifici pongono l’attenzione sul ruolo del DNA. Il corredo genetico ereditato potrebbe essere predittivo dello sviluppo della malattia. Ma avrebbe un ruolo importante anche l’epigenetica. I nostri geni si comportano come interruttori. Si accendono o si spengono. E ad influenzarli è l’ambiente. In altre parole, il modo in cui il nostro DNA funziona è influenzato inoltre dallo stile di vita, a tutto tondo. Un ambiente accogliente e ricco di stimoli, amorevole dal punto di vista familiare, attento al cibo e alla corretta alimentazione, potrebbe costituire un fattore protettivo. Dal punto di vista biologico questa tipologia di ambiente sarebbe in grado di modificare l’espressione di alcuni geni, a vantaggio di una maggiore resistenza allo stress e di una migliore regolazione dell’umore. Al contrario un contesto povero di cure e povero di buone pratiche alimentari potrebbe essere causa di un’inibizione dell’espressione genetica, con conseguenze sull’umore.
L’adolescenza
Un periodo critico ma cruciale per la crescita dell’individuo. Stimoli ed esperienze legate a questo momento della vita possono essere anch’essi predittivi del rischio di sviluppare un disturbo alimentare. In un momento in cui giudizio e autocontrollo risultano ancora acerbi, gli adolescenti potrebbero risentire di qualsiasi tipo di giudizio negativo sul proprio corpo o sull’alimentazione. Critiche, traumi, uniti a uno scarso controllo dell’impulsività, in questa fase in cui i circuiti neurali sono soggetti a continue modifiche e riorganizzazioni, potrebbero predisporre all’insorgenza di patologie del comportamento alimentare.
Fattori di protezione
Attenzione, cura, educazione costituiscono i primi argini protettivi. I genitori svolgono un ruolo primario nella prevenzione della malattia – più che con le parole con i gesti. Quindi dando il buon esempio.
Fin dai primi anni di vita il bambino è in grado di replicare quei comportamenti virtuosi, come una dieta equilibrata. Può imparare ad apprezzare le odiatissime verdure, scoprendo gusti appaganti e salutari al contempo. Il soggetto quindi si abitua ad una dieta ricca e variegata. E del cibo è in grado di apprezzare tutte le caratteristiche, con una buona variabilità alimentare che favorisce la sperimentazione di più pietanze, senza dover trovare necessariamente soddisfacimento in piatti altamente calorici (il cosiddetto cibo spazzatura).
Basi solide sul fronte dell’educazione alimentare eviteranno la confusione che spesso si verifica, soprattutto in fase adolescenziale – a causa di quel processo di crescita a cui come è stato già ricordato è sottoposto il cervello del ragazzo fino al 25 ° anno d’età –, fra senso di fame e bisogno di mangiare per un cambiamento d’umore.
E dunque anche se sottoposti a tentazioni, grazie a solide basi educative e affettive, i ragazzi potranno scegliere fra più opzioni, trovando nel cibo un alleato funzionale e non più un palliativo con cui anestetizzare disagi e sofferenze legati ad un’ambiente povero di relazioni e stimoli. Il contesto familiare che costituisce il primo argine dovrà quindi circondarsi di più alleati: gli amici, la scuola, il territorio e la rete sociale.
Contro ogni pregiudizio
Una persona affetta da un disturbo alimentare persegue un unico obiettivo: non ingrassare oggi, sbarazzarsi del cibo ingerito oppure placare ansia e tormento con cibo spazzatura. E poco importa che il suo peso sia esiguo o il suo stato di salute così precario da esporla al pericolo di morte. Il rischio tangibile per chi osserva dall’esterno – amici, parenti – dal suo punto di vista, in base a una percezione del tutto distorta, sarà irrilevante. Come nella ricerca spasmodica della droga, in una tossicodipendenza, conterà di più il sollievo che la sostanza procura dopo una crisi di astinenza, anche se questa dovesse poi portare all’overdose e addirittura alla morte.
I disturbi del comportamento alimentare sono patologie psichiatriche gravi, che meritano la stessa attenzione riservata ai disturbi a carico di altri sistemi del nostro organismo. Non esiste un’unica causa. E le origini oltre che genetiche, potrebbero essere familiari, sociali, ma anche esistenziali.
Tuttavia un ambiente curativo e protettivo a 360° andrebbe a vantaggio di una buona consapevolezza di sé, delle proprie doti e della governabilità di comportamenti devianti e distruttivi.
Scopri di più su The Shifters
Maria Chiara Di Guardo – Prorettore all’innovazione e al territorio, Micaela Morelli - Prorettore alla ricerca e Roberta Vanni – Direttore del CESAR raccontano le dinamiche che hanno condotto alla realizzazione di un progetto crossmediale sulla terza missione dell’Università degli Studi di Cagliari.
Guarda il trailer di progetto
C'è sempre qualcosa di affascinante dietro al cambiamento. Un percorso a ostacoli che parla del nostro futuro. Raccontarlo al mondo è la nostra missione.
The Shifters
Raccontare la ricerca: la nostra missione.